per quanto la pandemia abbia allargato non di poco il numero dei poveri (oltre 1 ML, passando da 4,6ML a 5,6ML), i depositi bancari delle famiglie italiane, come noto, sono passati, dall’inizio della pandemia alla fine di agosto scorso, ad oltre € 1.800 MD, con una crescita di circa € 200MD. Le preoccupazioni per il futuro e, ancor di più, l’impossibilità di “spendere” nei lunghi mesi dei vari lockdown hanno contribuito ad aumentare la capacità di risparmio, storicamente tra le maggiori al mondo, che dal 13% ha raggiunto il 20% del reddito (tendenza che ora sta correttamente diminuendo, con la voglia di “tornare a vivere”).
Una massa di risparmio così imponente (superiore al PIL 2020)induce a qualche riflessione.
La prima, e forse più importante, è che sottrae “benzina” alla ripresa. Già ora l’Italia, come si scriveva non po’ più tardi di ieri, sta conoscendo un momento di straordinaria vitalità. Dovuto, però, principalmente alle risorse che l’Europa ci ha messo a disposizione con il Recovery Plan, oltre che alla grande liquidità immessa sul sistema dalla BCE. Se a queste, indispensabili, misure si dovessero aggiungere parte dei risparmi (che, nel migliore dei casi, producono una redditività minimamente superiore allo zero), è certo che la nostra crescita assumerebbe proporzioni da “Paese emergente” e, soprattutto, si estenderebbe ad un periodo maggiore.
La seconda conseguenza, legata, appunto, alla bassissima redditività offerta, è il “ritorno” per le casse statali. Come noto, dal luglio 2014 è stata introdotta l’aliquota del 26% sulle rendite finanziarie. Gli interessi sulle giacenze di cc rientra tra queste. Visto l’andamento dei tassi a cui si faceva cenno (la stragrande maggioranza delle Banche non riconosce interessi, con qualche Istituto che addirittura inizia a “far pagare” ai propri correntisti la detenzione delle somme depositate), il Tesoro si trova ad incassare “ben” lo 0,02% annuo di interessi lordi.
Da qui la volontà di Bankitalia di imprimere un cambio di passo, al fine di favorire il ritorno in circolo della liquidità. Non a caso si sta parlando di portare al 23% (ipotesi allo studio)l’aliquota, per lo meno su alcune categorie di investimenti e di attività finanziarie. Tra queste, per esempio, le emissioni obbligazionarie. Le famiglie italiane, infatti, detengono solo il 5% in azioni ed obbligazioni di aziende italiane: in Germania si stima siano il 14%, mentre in Francia sia arriva addirittura al 34%. Gli investimenti diretti in azioni e partecipazioni riguardanti titoli quotati rappresentano il 2,4%, contro una media europea che tocca il 5%. Eppure i rendimenti offerti dai nostri titoli, soprattutto se si pensa alle cedole delle emissioni obbligazionarie, sono tra le più alte tra i Paesi europei (basta guardare al ns BTP decennale, vicino all’1%, quando titoli analoghi di molti Paesi sono vicini allo zero, se non sotto,come abbiamo imparato dal bund tedesco).
Un terzo fattore, che però, con l’avvento del QE (l’acquisto di titoli, soprattutto governativi, da parte della BCE)ha perso in parte significato, è la “stabilità” che può derivare dalla detenzione in “mani” domestiche dei titoli di debito emessi dallo Stato e dalle imprese italiane. Tutti ricordiamo quanto è successo nel 2011, quando lo spread arrivò a 575 bp: episodio che ha potuto verificarsi perché, in un momento di grande sfiducia verso il nostro Paese, “mani straniere” hanno “scaricato” buona parte dei titoli che detenevano, provocando il crollo delle quotazioni. Nel momento in cui, invece, i titoli fossero detenuti da Istituzioni italiane (come Bankitalia, anche se per conto della BCE)o da investitori privati italiani, questo rischio sarebbe di molto ridotto (come succede, per es, con il Giappone, che pur avendo un rapporto debito/PIL tra i maggiori al mondo, superiore al 220%, non ha mai sofferto di “rischio tassi”, essendo il debito in gran parte detenuto da investitori domestici).
Oggi mercati asiatici nuovamente tonici. Aiutano non poco le notizie riguardanti Evergrande: al momento, infatti, sembra scongiurato il rischio default. Pare che il gruppo abbia avviato le procedure per provvedere al pagamento (domani scadono i termini, decorsi i quali scatterebbe il default)degli interessi sul prestito obbligazionario, già in scadenza lo scorso 23 settembre, per circa $ 83,5 ML. A questo si aggiunge la notizia che la Banca Centrale ha immesso nuovamente liquidità sul sistema. Nikkei in rialzo dello 0,26%, Hong Kong + 0,17%. In altalena Shanghai, al momento marginalmente negativa.
Futures vicini alla parità.
Petrolio che arretra (WTI) a $ 82 (- 0,65%), mentre guadagna posizioni il gas naturale (+ 0,50%, $ 5.14). “tornano indietro” le materie prime, con il rame che scende del 5%, e l’alluminio del 3%.
Oro che torna ad avvicinarsi ai 1.800$ (1.790, + 0,4%).
€/$ stabile anche questa mattina, a 1,1634.
Leggero recupero dello spread, che scende sotto i 104 bp (ma cambia di poco o nulla il rendimento del BTP, a 0,95%). Rendimento che invece continua a salire per il Treasury, che torna a sfiorare l’1,70%.
Dopo i massimi di ieri mattina, perde quota il bitcoin, che questa mattina troviamo a $ 62.800.
Ps: ieri si faceva riferimento all’export italiano, premiato dalle “eccellenze” italiane. E’ di oggi la notizia che una di queste, la Ducati, sarà fornitore ufficiale, a partire dal 2023, dei motori elettrici per il Campionato mondiale MotoE, quello riservato alle moto a zero emissioni. Battendo “piccoli” marchi: Honda, Yamaha, Kawasaky, BMW….